Shark culling: quando il pericolo non viene dal mare

Abbandonata la caccia agli squali assassini, sono comparsi altri sistemi di protezione dei bagnanti quale ad esempio lo “Shark Culling”, ovvero programmi di abbattimento, tipicamente promossi dai governi, volti a controllare e ridurre il numero di squali potenzialmente pericolosi in zone assiduamente frequentate.

shark culling

Ed è proprio a seguito di un attacco da parte di uno squalo, verificatosi nel novembre 2013, che il governo del Western Australia (WA) è passato all’azione installando due sistemi di protezione al largo della costa occidentale australiana. Questi sistemi consistono in una serie di grandi ami dotati di esche sospese ad un galleggiante ancorato al fondale, conosciuti come ‘drumlines’, che hanno l’intento di catturare ed intrappolare esemplari di squali che si trovano troppo vicini alle coste. Compagnie private di pescatori hanno poi il compito di sorvegliare la zona e misurare la lunghezza degli esemplari che si trovano nella “kill zone”: tutti gli individui che superano la soglia dei 3 metri devono essere abbattuti.

Accanto alle ‘drumlines’, vengono utilizzate anche reti da posta di circa 200 metri di lunghezza con maglie larghe che svolgono il medesimo compito: catturare gli squali che si avvicinano troppo alle spiagge.

Sono soprattutto tre le specie target di questi programmi di “Shark culling”, i cosiddetti ‘Big Three’, identificati in Australia come potenzialmente pericolosi per l’uomo: il Grande Squalo Bianco (Carcharodon carcharias), lo Squalo Leuca o Zambesi (Carcharhinus leucas) e lo Squalo Tigre (Galeocerdo cuvier).

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