Il mese di marzo di quest’anno, per il mondo dello sport, è stato decisamente nefasto. E’ proprio notizia di questi giorni che i corpi dei due alpinisti che volevano raggiungere la vetta del Nanga Parbat siano stati localizzati ed individuati ad una quota di 5900 metri d’altitudine.
In 125 anni, un tale percorso era stato affrontato una sola volta, in discesa, dai fratelli Messner e, il meno celebre dei due, aveva perso la vita. Purtroppo anche per questi ultimi scalatori non si è potuto che decretarne la fine. I due compagni avevano deciso di raggiungere la cima attraverso una “via” estremamente difficile ed eccessivamente pericolosa. Avrebbero voluto “fare una cosa incredibile”, lasciare il segno, scrivere nella storia dell’alpinismo il proprio nome. Qualcosa disgraziatamente è andato storto. Parole inascoltate quelle dei colleghi più esperti come quelle dei parenti e delle persone più care che continueranno a porsi più di un quesito, col cuore annegato dal dolore e un velo continuo davanti agli occhi da asciugare con un gesto ripetuto all’infinito. Eppure, davanti a certe tragedie, sono molti quelli pronti a emettere sentenze, dimenticando che è facile, in questi casi, erigersi a giudici o fare demagogia. Forse, in cuor nostro, dovremmo essere toccati da pensieri più profondi e da domande a cui non è semplice dare risposte. A questo punto, molti si chiederanno il perché, in una rivista subacquea, si parli di montagna, dei suoi eroi o dei suoi caduti.
Montagna e mare sono i due opposti. Sono, però, anche quei luoghi a cui bisogna guardare con maggior riverenza e rispetto. Mare e montagna sono siti che possono far provare forti emozioni, ma anche tramutare una bellissima giornata in una tragica sciagura. Quando capitano gli incidenti come quelli del NP o in mare, vedi le disgrazie di Palinuro, delle Formiche degli scorsi anni o gli incidenti che accadono annualmente sulla petroliera Haven, ciò che più viene naturale pensare è che le vittime abbiano commesso degli errori, sottovalutato qualcosa, azzardato o siano stati colti da un malore improvviso.
Trattandosi, però, di persone esperte come possono aver tralasciato qualcosa di così importante da perdere la vita? Bene o male, se anche così fosse, in nome di che cosa? Record, prestigio, riconoscimento economico, fama, adrenalina…Ma vale veramente la pena rischiare la cosa più preziosa che abbiamo? E ci si accorge di rischiare di farlo? Si pensa alle persone care che sono tranquille e convinte che quello che si va a compiere sia sotto ogni punto di vista eseguito in piena sicurezza? E quando un incidente ci tocca ancora più da vicino? Quando succede ad una persona che faceva il nostro stesso sport, o ancora peggio, un conoscente o un amico? La notizia straziante è proprio di questi giorni: un amico subacqueo ha perso la vita in immersione in grotta.
Lascia un commento