In genere si pensa che i mammiferi marini non soffrano di malattia da decompressione (MDD). Questa convinzione si basa su due assunti: il primo è che l’evoluzione ha permesso loro di adattarsi al mondo subacqueo, il secondo è che la riserva di gas è limitata ad una singola inspirazione. Tuttavia, come spesso succede, la realtà può essere diversa dalle convinzioni più diffuse.
Le segnalazioni aneddotiche di sintomi compatibili con la MDD in subacquei che praticano apnea estrema e le grandi quantità di gas trovate in alcuni mammiferi marini spiaggiati sollevano interrogativi sulle implicazioni decompressive delle immersioni in apnea. Il Woods Hole Oceanographic Institution Marine Mammal Center ha recentemente ospitato un workshop che ha riunito esperti, provenienti da diverse discipline, che hanno passato in rassegna le conoscenze attuali. Il gruppo di studio comprendeva sia specialisti in medicina subacquea, fisiologia umana ed elaborazione di modelli decompressivi, che specialisti in medicina, patologia, anatomia, fisiologia, ecologia e comportamento dei mammiferi marini. I risultati del gruppo di studio sono stati pubblicati in un articolo nei “Proceedings of the Royal Society – Biology” (Atti della Royal Society – Biologia).
Gli effetti della pressione e i rischi di MDD sono ben noti ai subacquei umani. L’aumento della pressione ambiente fa sì che il gas inerte passi dalla riserva di gas compresso nei polmoni e poi in tutto il corpo. Il conseguente eccesso di gas inerte viene eliminato attraverso i polmoni durante e dopo la risalita. Se la riduzione di pressione è troppo grande per una data quantità di gas inerte, nei tessuti si possono formare delle bolle, e può innescarsi una sequenza di eventi che provoca sintomi di MDD. Gli esseri umani controllano lo stress decompressivo limitando l’esposizione all’ambiente subacqueo e/o seguendo tabelle di decompressione ottenute sperimentalmente o da modelli matematici.
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