In Italia non ci sono moltissimi relitti “visitabili” ma alcuni di questi hanno un fascino ed una storia particolare. Uno di questi è il Kent. Prima del suo affondamento, avvenuto dopo una terribile notte di fuoco alle 11:40 dell’8 luglio 1978, non se ne sa molto. Era una nave da carico lunga circa 72 metri con una stazza lorda di 783 tonnellate.
Nel suo ultimo viaggio batteva bandiera Cipriota ed era comandata da un greco, Liakos Hristos. Insieme al suo equipaggio di 10 persone (cinque pakistani, due greci, un ghanese e due del Gambia) era partito a fine giugno da Siracusa per dirigersi verso la Nigeria e dopo uno scalo per riempire le stive aveva ripreso la sua rotta. Trasportava merce varia tra cui ottomila sacchi di polietilene, ventisette tonnellate di rame, venti tonnellate di zampironi anti-zanzare, milletrecento chilogrammi di olio lubrificante, millequattrocento chili di sigarette, motori per trattori e diverse centinaia di copie del Corano. Durante la notte, per motivi ignoti, scoppiò un incendio in sala macchine e mentre l’equipaggio lasciava la nave a bordo di una scialuppa, mettendosi così in salvo, due rimorchiatori trainarono la nave dal largo fino alla rada, a mezzo miglio dalla costa, di fronte all’antica tonnara di San Vito Lo Capo, in un’area detta “il Firriato”, tra Punta Spadillo e Punta Forbice, dove la nave colò a picco.
La nave quando affondò era all’ancora, la poppa toccò per prima il fondo, come testimonia un’evidente ammaccatura sul lato di tribordo, e poi si dispose in perfetto assetto di navigazione, mentre i containers di legno che contenevano il carico di Corani, a causa della più lenta velocità di discesa si adagiarono una ventina di metri oltre l’ancora di prua.
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