Una delle prime preoccupazioni degli uomini primitivi è stata quella di procurarsi un rifugio, per potersi riparare dalle intemperie e per porsi al riparo durante la notte dalle aggressioni degli animali feroci.
La casa rappresenta, per noi moderni occidentali, uno spazio privato, intimo e intriso di significati simbolici che la rendono specchio e riflesso della nostra identità interiore.
L’architettura degli spazi dell’abitare parla, molto spesso, della nostra “architettura interna”, dei nostri personali modi di stabilire confini, ripari e punti di contatto con l’esterno e con gli altri.
L’etimologia della parola “casa” indica, nel suo senso più letterale ed elementare, ciò che fornisce riparo, un luogo coperto che va a proteggere e difendere dall’esterno ma che, soprattutto, pone un confine fra un “dentro” e un “fuori”.
Nella nostra epoca, però, per diversi motivi a volte è necessario cambiare casa. Per i più, legati intimamente alla propria abitazione, può rappresentare motivo di stress ed essere fonte di dispiacere; per altri, invece, è la normalità; dal momento che il loro rapporto con l’abitazione è di mero utilizzo.
Se pur in maniera diversa anche per gli animali marini è un po’ così, anche se con alcune variabili legate alle loro abitudini. Alcuni passano da una “casa” all’altra diverse volte al giorno, in sostanza cercano un riparo provvisorio mentre si spostano; e la tana è per loro un semplice rifugio momentaneo. Altri, invece, rimangono per diverso tempo nella loro abitazione; mentre alcuni passano addirittura tutta la vita nella stessa “location”.
Vediamo quindi alcuni esempi di questi comportamenti “abitativi”.
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