Siamo stati definiti la “società dell’immagine”, a me piace di più chiamarla la società della “condivisione”.
Comunicazione e condivisione: un concetto intrinseco all’altro il cui sodalizio perfetto è riassunto nell’immagine.
Fortunatamente, manca ancora un vero “codice” socialmente definito che consenta la lettura di un’immagine o regole comuni di interpretazione, al di fuori degli addetti ai lavori.
Mi sento sollevata da questo dato di fatto. Siamo ancora liberi di poterci esprimere dipingendo con la luce, senza avere le mani legate dalle catene della standardizzazione.
All’inizio non è facile, perché la troppa libertà espressiva alle volte spaventa: in molti preferiscono lasciarsi guidare dalle regole e dai tecnicismi. Nascono così immagini simili, tecnicamente ineccepibili, il cui rigore compositivo smorza l’immaginazione dello spettatore in un tacito assenso d’ammirazione.
Se trasmettere un messaggio estetico-descrittivo, era l’intento del fotografo, il successo è garantito!
Indelebile nella mente, è il segno lasciato dall’ ammirazione provata. Molte volte mi immergo con il proposito dello scatto perfetto e con tristezza riemergo quasi urlando dentro di me: “..non c’era niente da fotografare..”. A chi non è mai successo?
Un amico fotografo della “vecchia guardia” come a lui piace definirsi, un giorno mi disse: “ ..quando non trovi niente di fotografabile…inventalo!”. Non ho mai dimenticato quelle parole. Sono state uno schiaffo in pieno viso. Bastava quindi lasciarsi andare a pura espressività emotiva per iniziare a vedere con occhi diversi una realtà spesso banale?
Senza tralasciare l’aspetto compositivo, il fine non è più la fotografia perfetta: diventa mettere in luce la sensibilità dell’autore, il suo stato d’animo, il suo immaginario.
Come un’artista impressionista che nega l’importanza del soggetto ritratto, traccio scie di luce e colore, pochi segni “sprayati” su un muro vergine: il sensore.
I tempi di scatto lenti sottolineano o creano il movimento. L’uso di uno snoot ottico, mette in luce pattern macro intriganti.
Una retro illuminazione ben dosata accenna segni delicatamente colorati su di una tela bianca, altrimenti condannati ad essere per esempio solo i tentacoli di un microscopico Cerianto, che cresce su un fondo monocromatico , tristemente spento.
Libera da codici, lascio spazio all’ immaginazione dello spettatore. Mi piace l’estro interpretativo di chi non giudica ma “vive” un’immagine.
Bruno Munari (desiner e grafico italiano 1906-1998) nella sua opera “Simultaneità degli opposti” diceva: “…i segni sono forme appoggiate al fondo, senza problemi di ambiguità percettiva , dove il valore è dato dall’energia, dal colore materico, dalle dimensioni, dai collegamenti, dagli spazi vuoti”. Esiste un invito più chiaro di questo a creare, a osare? Non credo!
Qualcuno potrebbe asserire che Bruno Munari diceva anche: “…Quando tutto è arte niente è arte”. Non sono d’accordo, se nel suo significato più sublime, la parola “arte” è espressione estetica dell’interiorità umana, allora, nel nostro piccolo, siamo tutti un po’ artisti!
Keep shooting
Isabella Maffei
Massimo Boyer
Belle immagini e bella questione: la fotografia e’ arte? Per me puo’ esserlo.
Una creazione originale lo e’, come lo e’ l’interpretazione personale di un fenomeno naturale, oggettivo, ma filtrato attraverso la soggettivita’ del fotografo.
Senza arrivare alle astrazioni, la tua immagine della medusa ha il pathos che potrebbe mancare nella stessa immagine fatta da un altro: comunica qualcosa, fa in modo che lo spettatore si soffermi a guardarla, ecco il significato dell’arte, secondo me.