Recentemente, al termine di una proiezione pubblica, uno dei presenti si dichiarò colpito dalla gran quantità di foto in formato verticale che avevo presentato.
Precisò che gli piacevano molto, la sua non era una critica, ma si stupiva perché a suo parere la fotografia in formato orizzontale rappresenta meglio il nostro modo di vedere il mondo (con due occhi affiancati, che ci danno un campo visivo sviluppato orizzontalmente), mentre il formato verticale introduce un taglio, nasconde qualcosa, che a quel punto l’osservatore non vede, e può solo immaginare, ricostruire.
Questo commento ha scatenato in me una serie di riflessioni che mi fa piacere condividere con i miei lettori.
La mia formazione di fotografo è avvenuta negli anni ’80, in piena era della fotografia chimica. La diapositiva, che a quei tempi era il prodotto, aveva un formato di 2/3 (24 x 36 mm), e al momento della proiezione poteva essere visionata indifferentemente nei versi orizzontale o verticale. Il proiettore rimaneva alla stessa distanza da uno schermo quadrato, sul quale le foto proiettate si materializzavano con la medesima superficie, sia in orizzontale che in verticale.
Il formato orizzontale, secondo gli studi che hanno portato nella prima metà del ‘900 alle teorie dell’immagine e dell’informazione, trasmette serenità, equilibrio, grandezza, riposo, al limite se esageriamo con le linee orizzontali una certa staticità. Il formato verticale all’opposto trasmette una sensazione di forza, vigore, attività, dinamismo, concetti che meglio si sposano con un’attività “estrema” come la subacquea è vista di solito. Il formato verticale poi è quello delle copertine delle riviste, a cui tutti noi fotografi alle prime armi ambivamo. E allora via con la macchina inclinata a sperimentare spesso inquadrature verticali, alla ricerca della “foto da copertina”.
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