La parola interfaccia ha più di un significato.
Se non siete biologi (o naturalisti, o ambientalisti) probabilmente il significato legato all’informatica vi sarà venuto in mente per primo: un dispositivo che ne mette in comunicazione altri due, o che usiamo noi utenti umani per “interfacciarci” (orrendo neologismo) con uno strumento elettronico. Ma per uno scienziato del mondo naturale un’interfaccia è la superficie di contatto tra due fasi distinte: e l’interfaccia forse più famosa è quella che separa acqua e aria, la superficie degli oceani e di fiumi, laghi, ruscelli… pozzanghere. In questo ambiente di frontiera non valgono le regole normali che varrebbero nelle profondità oceaniche o nell’aria, ma si instaurano fenomeni chimico-fisici o ottici regolati da leggi che hanno valore solo qui, e che sarebbero impossibili altrove. Siamo davvero in un sottilissimo Paese delle meraviglie di Alice, dove la realtà si piega, si stravolge, non ci si può stupire di nulla.
Si dà il nome di tensione superficiale al fenomeno chimico-fisico per cui, all’interfaccia tra due fluidi di cui uno è più denso (esempio aria e acqua), sulla superficie del più denso si forma uno strato ancora più denso, un diaframma difficile da rompere, che poi è quello su cui si appoggiano alcuni insetti leggerissimi che vi pattinano sopra. Ed è anche il motivo che fa piegare a imbuto la superficie dell’acqua quando un grosso animale, come gli squali balena delle foto, vi applica da sotto uno sforzo di suzione, aprendo improvvisamente la bocca e creando così una depressione per mangiare quello che sta in superficie.
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