Letto l’articolo di Cristina Ferrari e Luigi Del Corona (Roatan, I e II parte),
mi è sembrato importante intervenire per dare spazio a una visione alternativa del problema che gli autori hanno ben sollevato, descritto nello scorso numero e sottolineato finemente con i loro atteggiamenti perplessi.
Problema: a partire dagli anni ’80 (primissimi avvistamenti) i pesci leone (Pterois volitans e Pterois miles), specie native rispettivamente dell’Oceano Pacifico e Indiano, si sono diffuse rapidamente nell’Oceano Atlantico, e segnatamente nell’area del Golfo del Messico – Bahamas – Mar dei Caraibi.
Via di introduzione: la più probabile sono gli acquari domestici. I piccoli Pterois sono delicati e affascinanti, ma dopo poco tempo rimangono da soli perché mangiano tutti gli altri pesci. Davanti a un acquario con un solo, grasso e grosso lionfish, probabilmente più di un acquarista domestico ha deciso di buttare a mare lo scorpenide per ricominciare… senza pensare che stava introducendo un nuovo flagello.
Soluzione stile western. Sterminare il lionfish, per salvaguardare la purezza dell’ambiente Caraibico. Questa è la teoria più diffusa, sostenuta dai media, da molte associazioni ambientaliste, e in cui sono coinvolti i diving center e i subacquei che partecipano al tirassegno. E divertirsi con il barbecue che ne segue, perché il lionfish è commestibile.
Però, per completezza di informazione, devo dire che non tutto il mondo concorda sul fatto che i lionfish vadano soppressi. Intanto la posizione prevalente tra gli scienziati è che sia impossibile ormai eliminarli, e che si debba accettare la loro presenza tra la fauna dell’Oceano Atlantico. Al più possiamo pensare di controllare il loro numero, ma è poi necessario?
Molti sostengono che, dopo una prima fase di invasione esplosiva, veloce, la natura troverà un suo equilibrio (come sempre), i predatori locali cominceranno a controllare efficacemente lo Pterois, e la popolazione si stabilizzerà. Un equilibrio nuovo, diverso da quello di partenza, ma il mondo evolve. Tra le altre cose, molti sottolineano come l’invasione sia stata facilitata dal fatto che, nelle zone più colpite, i predatori nativi di media taglia (cernie, snapper) erano stati sterminati dalla pesca. Il pesce leone si sarebbe insediato occupando una nicchia ecologica liberata dall’uomo. E che non ci siano solide prove scientifiche che l’ambiente sia danneggiato dalla presenza di un altro predatore.
C’è chi sottolinea che voler sopprimere una specie vivente sia immorale, che la subacquea sia snaturata da questo massacro, (non ci hanno insegnato di non portar via niente e di lasciare dietro di noi solo le bolle?), e chi punta invece sull’aspetto sanitario evidenziando come il consumo di Pterois possa aver portato a qualche caso di ciguatera (infezione alimentare). Chi rileva anche (segnalato dagli autori dell’articolo) che i pesci leone arpionati sono in parte offerti alle grosse murene come cibo, murene che di conseguenza si avvicinano a tutti i sub con aria inquisitiva sperando in un’offerta.
Insomma, per molti sarebbe meglio lasciare che la natura faccia il suo corso. Peraltro ad alcuni sembra di conoscere già il nome del prossimo invasore Caraibico. Già, perché l’infaticabile industria degli acquari, visto lo scarso gradimento di cui cominciava a godere lo Pterois, provò a sostituirlo con la cernia Cromileptes altivelis, altro animale di origine asiatica, che da giovane è delicato, timido, magnifico, crescendo mangerà tutti i compagni di prigionia, buttata in mare si ambienterà facilmente trovando poca competizione… conosciamo la storia?
Per chi volesse approfondire questa posizione alternativa
Questo articolo è pubblicato su Scubazone 26, lo riportiamo qui in versione integrale per dare spazio a un dibattito: scriveteci le vostre idee sul problema, siete a favore o contro l’eliminazione degli Pterois? Volete raccontarci la vostra esperienza? Scrivete qui di seguito.
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